Il pensiero “bottega” non accompagna più la genesi di nuove imprese. Sogno più botteghe, nuove botteghe, figlie della nostra millenaria tradizione e proiettate nel futuro. Abbiamo bisogno di ripensare questa narrazione.
Negli ultimi anni un chiodo fisso mi punge la testa “perché abbiamo adottato la narrazione delle startup quando avevamo il concetto di bottega che a me, sinceramente, sembra essere molto più ricco di quello di startup?”
Mi spiego. Una bottega la puoi far crescere, la puoi scalare, ma a differenza di una startup che se non cresce ad un certo punto non raggiunge il suo scopo, una bottega, può anche rimanere a vita della stessa dimensione che aveva quando è nata.
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un’avanzata nell’uso della parola startup, “fa figo” quindi qualsiasi cosa ad un certo punto sembrava diventata una startup. In effetti va chiarito che il termine lo abbiamo mutuato dalla narrazione tutta made in Silicon Valley un po’ per atteggiarci a piccoli inventori di aziende che avrebbero cambiato il mondo, un po’ per rispondere ad una certa programmazione politica che ha incentivato l’utilizzo della parola grazie a bandi e call di vario tipo.
Mi espongo in un ragionamento, di parte forse, ma poco importa, sono un artigiano di bottega, ho 34 anni e voglio essere di parte. Dalla parte della mia identità almeno, dalla parte delle centinaia di migliaia di botteghe che hanno costellato l’esistenza del nostro paese per secoli.
In molte storie industriali di successo c’è dietro una storia di bottega, un piccolo nucleo di fondazione che ha dato all’imprenditore, spesso, l’imprinting necessario in quanto a maestria, saper fare, gestione dei rapporti umani e rapporto con le materie prime. Inoltre, in molte storie di bottega che sono diventate grandi c’era un maestro, quasi mai raccontato.
Di recente ho letto il libro “L’ingegno e le tenebre” di Roberto Mercardini (lo consiglio). Racconta la storia di Leonardo e Michelangelo e di come le loro storie, straordinariamente diverse e conflittuali, siano un po’ due facce della stessa medaglia, degli artisti, ma degli artigiani innanzitutto. Sullo sfondo di questo racconto ci sono le botteghe, come luoghi di formazione, luoghi di produzione, come musei interattivi, come luoghi commerciali, come luoghi di socialità e di contaminazione.
Per secoli le botteghe sono state le fucine di creatività, innovazione e trasferimento dei saperi, conoscenze e maestrie millenarie.
Nel Novecento però tra tutte le cose che ci siamo persi, in parte, ci siamo persi anche il senso delle botteghe. Non le botteghe in sé, quelle in alcuni casi, anche in forma museale resistono, abbiamo perso il senso della bottega non nella sua visione edulcorata e polverosa, ma nella visione generativa. Per questo quando tredici anni fa iniziai il mio percorso di artigiano digitale mi misi nella prospettiva della bottega, non dell’agenzia e nemmeno della startup, ma della bottega.
Nelle righe che seguono proverò ad elencare alcuni brevi punti che caratterizzano la “prospettiva bottega”:
Crescita. La bottega non deve per forza crescere, può rimanere sempre tale.
Persone. Nella bottega tendono a crescere prima le persone e poi gli affari.
Luogo. La bottega è legata al senso di un luogo, di un paese, di un quartiere, di vicolo.
Scuola. La bottega è scuola del fare e del pensare.
Maestro. Chi fa bottega spende la vita per essere maestro della sua scuola/bottega
Allievo. Chi fa bottega non cerca dipendenti ma allievi ai quali trasferire il proprio sapere.
Opportunità. Una bottega genera nuove botteghe, non cresce solo al proprio interno ma genera un ecosistema di valore.
Creatività. Una bottega è un centro di sviluppo creativo per la soluzione di problemi.
Paesi. Una bottega è un luogo di socialità e di aggregazione dove le persone si incontrano e si contaminano
Non voglio celebrare le botteghe, ma sento il bisogno di riattivare una discussione su quanto questa parola abbia ancora tanto da dare, su quanto appartenga, oltre che ad un onorevole passato, anche ad un entusiasmante futuro. Il senso di una “prospettiva bottega” è degno di essere vissuto ed esercitato in virtù di una visione, un fuoco nel riappropriarsi delle parole e dei luoghi e ricrearle in senso nuovo, riempirle di una semantica che nutrirà i prossimi anni, viverle con l’ardore della ricerca, dell’innovazione e della creatività.
Una curiosità. Dalle mie parti, ma ho riscontrato questa cosa in molti posti dell’appennino, gli apprendisti in bottega venivano chiamati “riscípuli”, i discepoli. Questo restituisce un senso mistico e spirituale al percorso di apprendimento. Allievo, nel senso del levarsi, dell’andare verso l’alto, del crescere e Discepolo, nel senso di incarnare l’opera del maestro che ti ha iniziato e di continuare un percorso.
Visto che hai letto fino a questo punto, ho un suggerimento per te. Ti consiglio di dare un’occhiata a questo: https://giusepperivello.nova100.ilsole24ore.com/2021/01/12/perche-racconto-i-giovani-artigiani/
La foto di copertina è tratta dal video che ho girato con Mastro Antonio nella sua vecchia bottega a Tricarico. https://vimeo.com/393106131