Perché racconto i giovani artigiani?

Le loro mani hanno ancora da imparare.
Hanno avuto accesso ad un’istruzione senza precedenti.
Non sanno mai sempre tutto quello che devono fare.
Hanno sempre tanti dubbi.
Hanno cominciato il loro lavoro fondendo atomi e bit.

Hanno in tasca uno smartphone e non lo considerano un telefono.
Sanno che la loro prima opportunità sono loro stessi.
Vivono in una delle migliori epoche mai esistite nella storia umana.
Hanno avanti un futuro straordinario.
Creano e ricreano l’umana avventura.
Stanno imparando a loro spese che la terra è bella, ma finita.

Non hanno voglia di smettere di imparare.
Sanno che vendere non è il fine.
Hanno rispetto per i loro padri e loro nonni.
Leggono e guardano film e magari li scrivono e li girano pure.
Spesso non hanno paura di mettere al mondo figli e anche se non lo fanno, sanno che il loro lavoro vale per i figli degli altri e ne sono orgogliosi.
Non perdono la speranza quando sentono un adulto dire che ai suoi tempi andava tutto meglio.
Non perdono la speranza quando sentono un adulto dire che oggi i giovani sono tutti uguali.

Sanno che fare politica vuol dire fare innanzitutto bene il proprio lavoro.
Amano la terra nella quale vivono e magari sono nati, ma anche quella che li ospita.
Amano incondizionatamente, senza distinzione di sesso o di razza.
Lavorano per colmare il deficit di immaginazione che chi ci ha preceduti non ha avuto la forza di colmare.
In una mano hanno il computer e nell’altra gli arnesi di mestieri antichi.
Conoscono (almeno) il dialetto, l’italiano e l’inglese.
Girano il mondo e non dimenticano il posto nel quale sono nati.

Vivono con un piede nella loro terra, uno nel mondo e la testa in rete.
Fanno innovazione spesso con i pochi strumenti che hanno a disposizione.
Sanno che fare innovazione non è (solo) una questione di tecnologia.
Abitano i luoghi con la speranza di prendersi sempre meglio cura di essi.
Credono che Gianni Rodari sia stato un grande.
Credono che le vecchie pietre non siano oggetti da museo ma pezzi di futuro.
Creano, raccontano e ricreano il presente e il futuro.

Caro Mastru, ho iniziato questo cammino di ricerca delle Storie di Bottega ascoltando e filmando storie di artigiani che hanno esperienza da vendere. La mia preoccupazione è stata fin dall’inizio la cura per le storie raccontate da uomini e donne con i capelli bianchi, con le mani piene di calli. Questo mi ha permesso di camminare con un senso di sicurezza, fatto, credo, del senso di appartenenza a quel cammino universale che l’uomo ha compiuto e compie. Ho imparato ad imparare la vita attraverso le storie dei vecchi artigiani. Ho imparato che nessuno di loro ha voglia di stare di fronte ad una videocamera, ma quando poi si mette al lavoro la videocamera è meglio tenerla accesa. Ho imparato che un artigiano non arriva mai, è sempre in cammino.

Scrivendo questo pezzo mi rendo conto che tutti i vecchi artigiani ai quali sto pensando sono donne e uomini “giovanissimi” appassionati della vita e delle sue straordinarie possibilità. Quindi scrivendo “giovani artigiani” mi riferisco a tutte quelle ragazze e quei ragazzi che hanno iniziato a sporcarsi le mani di belle cose nel terzo millennio.

Posso dire una cosa? Mi piace raccontare le storie dei vecchi artigiani, ma mi piace sicuramente di più raccontare i giovani “allievi” artigiani. Le loro mani, non ancora del tutto esperte, pronte a sbagliare, pronte a testare, a buttarsi per far succedere cose nuove danno il senso alle storie che creano raccontano e ricreano. Danno il senso ad imprese di famiglia che stanno giocando un gioco infinito o a imprese appena nate che vogliono costruirsi il proprio spazio nel mondo.

 


La foto di copertina di questo post è stata scattata durante la realizzazione di questo video, che abbiamo realizzato insieme per Patrizio Dolci, da Giuseppe Cacetta Pellegrino @ReCacetta