L’aria che si respira in una Serata Alpha in Bottega raccontata da Fiorenzo De Vita

Caro Mastru,
ho ricevuto una lettera e ho pensato di fartela leggere. Per introdurla ti dico che Fiorenzo De Vita ha scritto un bel libro dal titolo “Oltre la Strada” che lo scorso 29 dicembre abbiamo presentato nel LatoAlpha di Jepis Bottega, in una di quelle che ormai si chiamano “Serate Alpha”. Queste serate sono dedicate alle storie e alla loro forza, in nome dell’Aleph ci ritroviamo tra i libri della nostra libreria per condividere la forza generatrice e riproduttrice delle storie.

Quando ho chiesto a Fiorenzo di presentare il suo libro nella nostra bottega ho subito pensato di chiedere a Vincenzo Moretti di discuterne con lui. Vincenzo, per quel che lo conosco io, ama il viaggio e ne contempla la forza trasformativa.

Non mi dilungo oltre, eccola, questa è la lettera che Fiorenzo mi ha scritto dopo aver vissuto con noi la Serata Alpha dedicata al suo libro:

Entrai con i piedi incollati a terra, come fossi di pietra. Temevo di restare lì all’ingresso, incastrato nel mio corpo di granito tremante.
Jepis mi vide, mi lavò col suo sorriso vero, e la pietra si sciolse. Lo guardai un attimo e mi sembrò fatto di legno e pane. Poi mi abbracciò con un abbraccio vero, e i piedi cominciarono a scivolare sul pavimento come su di un tappeto di foglie.
Mi trovai di fronte ad un uomo lungo, barbuto (o così mi parve), dai tratti antichi e dagli occhi di bambino, che pareva piccolo, appollaiato su di uno scannetto di legno grezzo, come pronto a spiccare il volo.

M’invitò a sedermi accanto a lui e, non so come, ero già seduto. Aveva gli appunti del mio libro in mano e cominciò a squadernare i suoi fogli nell’aria come a voler risvegliare qualcosa, come se le parole che ci stavano sopra dovessero respirare.
Vincenzo – era il suo nome – aveva lo stesso sorriso di Jepis, di quelli che ti fanno sentire a casa, e con una voce lenta e profonda, che rideva dietro la sua solennità, iniziò a parlarmi del libro che avremmo presentato insieme, il mio libro sul viaggio, che – non so come – era diventato anche il suo.
D’un tratto il mio corpo tremante ora vibrava, come all’inizio di una danza. Come all’inizio di un viaggio.
Mi guardai intorno: C’era odore di legno buono, di cose da fare con calma, di cose ancora da venire e di tempo per attenderle seduto su cose che avevano atteso tanto, tanto tempo per essere lì e avevano attraversato mille metamorfosi, mille storie, per essere ciò che erano, pronte ad essere altro.

D’un tratto respiravo di nuovo e tutto intorno respirava. C’erano storie lì dentro a forma di cose, libri, scaffali, disegni, passi, che sapevano prendere vita con la vita di chi le attraversava. Sempre le stesse, sempre nuove, come ogni vita. Storie che abitavano nel silenzio. Storie che avevano imparato ad attendere ed ora, pazienti, volevano sapere la mia storia. E d’un tratto anch’io mi sentii una storia tra le infinite possibili lì dentro, insieme ad esse. Leggero, in quell’infinito possibile, in quel silenzio gravido senza ancora forma, potevo essere ancora tutto, che la mia storia si stava ancora scrivendo. E cominciai a sorridere come un bambino, senza più il peso di me. Mi sembrò di avere in bocca lo stesso sorriso di Jepis e Vincenzo.
C’erano le parole del mio libro in fogli sparsi su di un grande tavolo al centro della stanza, messe lì perché anch’esse prendessero vita con le vite di coloro che sarebbero arrivati.
E arrivarono. Non so come, ma la sala fu d’un tratto piena di persone. Arrivarono come la pioggia, che non la vedi una goccia alla volta, ma solo quando scroscia in un solo suono, pieno, che ti bagna tutto.

Allora, Seduti su due sgabelli uno accanto all’altro, io e Vincenzo cominciammo a parlare. Cominciai a raccontare del mio viaggio, e d’un tratto parti del mio diventarono parti del suo, che cominciò a ricordare. Poi il nostro viaggio iniziò a confondersi con quello di qualcun altro lì in sala e, senza che ce ne accorgessimo, tutti stavamo viaggiando. E la bottega di Jepis era diventato un vascello che ci trascinava ad una meta sconosciuta, ad una storia ancora tutta da raccontare che si stava facendo proprio lì, in quel momento. Conciammo a parlare tutti di perdita, di cammino, di colpa, di rimpianti, di sogni: era il mio libro, e non era più il mio. Poi le parole si affievolirono ed ecco di nuovo quel silenzio danzante, avido di sapere eppur paziente, in cui tutti i presenti iniziarono a diventare storie, storie vere di trasformazioni che forgiavano il tempo e che facevano trasformare le cose proprio lì proprio in quel momento. Tutte danzanti insieme, forgiavano un’unica storia che non era mai stata raccontata prima.
È così, pensai, che si creano le cose del mondo. che creiamo noi stessi nel mondo.

Quando tutto fu finito mi sentii appena nato. E che tutto era ancora possibile, tutto ancora da fare, perché ero stato nel luogo più antico, dove tutto ha origine. Il luogo in cui passato e futuro danzano insieme in un silenzioso, paziente, eterno presente.
Questa è la bottega di Jepis.

Se non vi sentite pronti per entrarci, allora è il momento giusto di farlo.
Perché solo dove finiscono le certezze, si apre lo spazio del possibile, ciò che gli antichi chiamavano magia.

(Fiorenzo De Vita)