Caro Mastru,
Ti scrivo dal tavolino nella hall dell’hotel dove alloggio in questi due giorni di permanenza in Germania, nella cittadina di Gottmadingen, nel sud, quasi ai confini con la Svizzera. Fu da queste parti che nei primi anni ’50 una manciata di uomini e poi donne provenienti dal mio paese, Caselle in Pittari, nel Cilento, si stanziarono per sperimentare una nuova vita. In cerca di lavoro e di chissà quale altra forma di riscatto passarono dalla vita nei campi alla vita nella fabbrica. Dal lavoro dell’aratro, della falce e della pietra mossa dalla forza dell’acqua, alla costruzione di arnesi e trattori che proprio al lavoro agricolo sarebbero serviti. Si ritrovarono, almeno in una prima fase, a lavorare per una grande industria di macchine agricole.
Ebbero da scegliere se partire o restare e se per molti e molte fu una “liberazione” ed una scoperta di un nuovo mondo, per molti (e forse un po’ per tutti) fu uno strappo doloroso. Oggi sono qui a scrivere per introdurti alla visione di un piccolo lavoro che ho avuto l’onore di realizzare, un piccolo documentario. Una raccolta di testimonianze di vita dei primi miei compaesani che fecero questo salto, che cambiando vita, in qualche modo cambiarono anche un po’ le sorti di un’intera comunità. Una sorte comune a quella di tante altre comunità italiane che hanno protratto le proprie braccia e gambe nel mondo. Con le storie di questi uomini e queste donne parte una nuova pagina della nostra storia.
Questo racconto non è altro che un dettaglio di un reticolato fittissimo fatto di tutte le storie degli italiani che nel mondo hanno ricreato le loro comunità. Oggi potremmo dire che l’Italia è grande fuori dai propri confini almeno quanto è grande dentro di essi. Così come tutte le piccole comunità dei piccoli paesi che dai primi anni del ’900 hanno visto partire le genti prima per le Americhe e poi per tutte le altre terre che li hanno accolti diventando nuova casa. Molte delle case che oggi restano vuote nei nostri piccoli paesi meridionali sono il frutto di anni di sacrifici fatti in terra straniera, sudori che hanno alimentato il sogno di tornare nella propria terra di origine e trovare una casa da poter lasciare ai propri figli per un futuro prospero. Le storie devono aiutarci a pensare, a ricreare noi stessi e il mondo.
Siamo sempre difronte alla domanda “andare o restare?” Oppure, oggi possiamo cambiare qualcosa in questa domanda? E se la riformulassimo in “andare e restare?” La consapevolezza di poter costruire nuove opportunità per le terre che hanno visto partire generazioni e generazioni, la voglia di utilizzare gli strumenti digitali per connetterci, la voglia di vivere con un piede nella nostra terra e uno nel mondo, la voglia di sperimentare e strutturare vite che fanno della mobilità un punto di forza. La voglia di modellare e arricchire il concetto stesso di emigrazione di tutte le sfumature che oggi esso può contenere. Eccomi, questa mia riflessione è solo un piccolo modo per non lasciare questa storia nel cassetto della memoria, ma renderla strumento di pensiero, dettaglio, particolare di un complesso quadro che può darci spunti per disegnare nuove traiettorie.
Oggi, questa piccola raccolta è stata presentata qui, a Gottmadingen, mi trovo qui per questo, ospite di questa comunità. Dovremmo preoccuparci di rintracciare, raccogliere e raccontare le storie di emigrazione, farle arrivare a chi oggi nasce nelle nostre comunità e rischia di perderne la memoria, dovremmo preoccuparci di raccontare l’emigrazione non per evitare che i nostri giovani lascino le loro terre, ma per evitare che debbano lasciarle senza avere l’opportunità di restare.
Questo che vedi nella foto qui sotto è il primo biglietto aereo che nel settembre del 2009 mi portò da queste parti. Pensa, fu proprio il figlio di un emigrante del mio paese, Michele, nato e cresciuto in queste terre che mi coinvolse nello sviluppo del primo progetto di quello che sarebbe diventato il mio lavoro come professionista della comunicazione e della narrazione. Oggi, la mia Bottega, lavora con un piede nella mia terra e un piede nel mondo. La scelta non è stata quella di andare o restare, ma quella di restare e allo stesso tempo, ogni giorno, andare nel mondo a cercare le opportunità per vivere e creare opportunità dalla mia terra e per la mia terra.