Caro Mastru, negli ultimi anni stiamo assistendo ad un interessante lavoro di recupero di storie, pezzi di narrazioni di comunità, registrazioni di memorie che senza l’intervento di giovani (o diversamente giovani) storyteller, fotografi e videomaker andrebbero perduti per sempre. Ne conosco alcuni che in ogni angolo d’italia si stanno prodigando in questa opera. Ti sarà capitato di vedere interviste a persone più o meno in là con gli anni che raccontano un pezzo della loro vita o delle vicende storiche vissute. Quello che mi affascina di tutto questo “raccogliere” è non solo l’opera di salvaguardia della memoria che molti giovani hanno attivato, ma anche la restituzione di queste memorie nei territori. Ed inoltre, il fatto che in molti casi non siano le istituzioni a fare questi percorsi mi fa ben sperare, mi fa pensare che, forse si, forse non tutto è perduto e questo paese non è proprio spacciato del tutto.
Se stai leggendo questa piccola pagina delle mie Storie di Bottega, ti chiedo di avere un attimo di pazienza, perchè fatto un passo, mi piacerebbe farne altri due, quasi come dei saltelli leggeri.
Nel mentre riempiamo i nostri zaini (che poi non sono altro che pile di hard disk e di supporti di archiviazione di vario formato) credo sia importante provare ad attivare, nelle nostre comunità, nei nostri ambienti, nelle nostre organizzazioni, due dinamiche, due approcci.
Nel primo dei due saltelli proverei ad alzare lo sguardo, a guardare oltre il nostro orticello e proiettare le storie che stiamo raccogliendo nel mondo, provando a farle dialogare con le altre galassie di storie che compongono l’immenso (ma pur finito) universo delle vicende umane. Non chiedermi come si fa, è un fatto assai creativo e dipendente da te, il primo passo è la condivisione, per il resto credo che serva accompagnare le storie in un percorso di empatia, in cui, un po’, forse, ci facciamo anche portare dalla loro universalità. Sto imparando però che se dopo aver raccolto una storia della mia terra, alzo lo sguardo e la proietto nel mondo, possono succedere cose molto interessanti, tipo il fatto che in altre latitudini e longitudini c’è una storia simile ma diversa che in qualche modo si incastra generando uno strano cortocircuito nella mia testa, e forse pure in quella di altri.
Ed eccoci al terzo passo, o meglio, saltello, nel quale in mano ci vedo una matita e magari pure un foglio bianco. Ricapitolando, abbiamo lo zaino pieno, ci stiamo arricchendo con storie che vengono dalla nostra terra, ed inoltre stiamo capendo che è necessario alzare lo sguardo, prendere aria, far prendere aria alle nostre teste ed alle nostre storie. Bene, e adesso? Adesso proviamo a ridisegnare le storie che stiamo raccogliendo, carichi delle energie che stiamo trovando nel loro viaggio nell’etere. Proviamo a disegnare nuove mappe in cui la storia del nostro artigiano interagisce con una tecnica di lavorazione che ancora non conosceva ma che abbiamo scoperto ascoltando una storia parallela in un’altra parte del mondo. Oppure proviamo a disegnare una storia in cui ad un certo punto le cose sarebbero potute andare diversamente a come ce le hanno raccontate le persone anziane che abbiamo intervistato.
Insomma, proviamo a mettere in moto degli esercizi, degli esperimenti che fanno si che la nostra raccolta non sia solo una raccolta di memoria, ma sia pure un modo per disegnare il futuro.
Inoltre ho imparato che se mentre raccogliamo le storie pensiamo già ai due passetti successivi facciamo un lavoro assai più interessante, componiamo domande già proiettate in questa dimensione, predisposte all’apertura e predisposte anche a diventare pezzi di un processo di design nuovo.
Ps: la foto in copertina me l’ha scattata il mio caro amico fotografo Giuseppe Cacetta Pellegrino.