5 generazioni, un banco, tante storie

Caro Mastru, oggi ti farò leggere una storia scritta da una giovane studentessa di nome Althea con la quale ho avuto il piacere di lavorare durante un progetto realizzato nella sua scuola nelle scorse settimane. La scuola è l’IIS Leonardo da Vinci di Sapri, una scuola che porto nel cuore, la scuola che per cinque anni della mia vita, giorno dopo giorno mi ha visto cambiare. Oggi, da formatore mi trovo in aula con studenti che cambiano, giorno dopo giorno, un po’ come succedeva a me. Mutano il loro punto di vista sul mondo grazie a quello che ascoltano, quello che leggono, quello che fanno e che raccontano. Così, grazie a questo breve momento di formazione che mi è stato affidato dalla mia “vecchia” scuola, ho stimolato la creazione di un punto di vista narrativo che percorresse più generazioni, ne è emerso un racconto che fra un attimo leggerai e che partendo dal 1992 corre, a tratti più lento, a tratti più cauto, fino al 2032. Questa è una storia che racconta per ricreare.
Buona lettura.

 

Un racconto di Althea Ezzelino
Immaginate di raccontare la storia di un Istituto situato a Sapri non da un punto di vista formale, bensì da un punto di vista “fantastico” tipo quello di un banco che racconta la differenza e lo scorrere del tempo di 5 generazioni.

 

1992
Correva l’anno 1992, ero collocato nella prima fila di banchi in una delle tante aule al secondo piano del Leonardo Da Vinci di Sapri e aspettavo con ansia il suono della campanella a cui avrebbe seguito una massa indefinita di studenti, chissà tra quelli chi mi sarebbe capitato. Ragazzo o ragazza? Tra poco lo scopriremo! Quel giorno, il 14 settembre, in quell’aula situata nell’ala della scuola dove faceva più caldo, entrarono 15 ragazzi uno diverso dall’altro, chi tra questi mi avrebbe scelto?  Con mio stupore, perché non sembrava di certo il tipo da “primo banco”, mi capitò un ragazzo: alto, moro, riccio con occhi chiari, vestiva con un jeans largo rattoppato qua e là e una maglietta di una band rock straniera (Nirvana). La prof come di consuetudine chiese a tutti di presentarsi e scoprii che il mio “proprietario” si chiamasse Andrea. Frequentava la prima e scelse l’informatico perché oltre ad avere una visione futurista del mondo era anche un prodigio nel campo dell’informatica e tutto ciò che la riguardava. Accompagnai Andrea nel suo viaggio per 5 lunghi anni vedendo i suoi tanti sorrisi, i suoi buoni e cattivi voti fin quando non se ne andò. Voci di corridoio dicevano che aveva fatto strada e che fece della sua passione un lavoro; non potei che essere felice per lui.

 

10 anni dopo.. Ne sono successe di cose

2002
Sono sempre io, sono stato spostato in un’altra aula, questa volta al primo piano nella seconda fila di banchi, siamo sempre nel mese di settembre, però qui rispetto a 10 anni fa c’è meno caldo. Anche quest’anno sempre a detta delle voci di corridoio avrò una prima, la domanda che mi pongo è sempre la stessa: ragazzo o ragazza? Anche quest’anno, purtroppo o per sfortuna è un ragazzo. Ormai è sempre la stessa routine e i prof fanno sempre le stesse domande, è come se avessero un libricino con delle domande predefinite; comunque lui è Giuseppe, capelli corti neri, occhialuto, di media statura, magrolino, sembra un nerd ma so già che mi stupirà. È vestito con un jeans a gamba larga, una maglietta della Diesel e ascolta Ligabue, lo so perché è stato uno dei pochi audaci che è entrato con le cuffie in classe, cosa poi che sarà fatta sicuramente da tante altre generazioni, ma lui fino a quel momento è stato l’unico. Peppe, per gli amici, si presentò e disse che aveva scelto l’istituto tecnico commerciale perché il liceo gli sembrava troppo difficile e perché il padre aveva un’azienda che lui aveva intenzione di portare avanti. Così come il primo ragazzo anche lui l’ho accompagnato in questi 5 anni, è uscito a pieni voti da questa scuola e chi l’avrebbe mai detto è andato all’università, si è laureato in scienze della comunicazione e ha aperto una bottega creativa digitale in un piccolo paesino.

 

20 anni dopo.. e ancora tante storie da raccontare

2012
E siamo ancora qua, altro giro altra corsa, spostato di nuovo al secondo piano nell’ultima fila a destra, diciamo che questo continuo cambiamento da una parte mi secca ma dall’altra è divertente. Qui fa lo stesso caldo di vent’anni fa. Hanno introdotto la numerazione delle aule e se ho intravisto bene sono nella numero 41, anche quest’anno avrò una prima, mi piacciono i piccoletti: hanno quella scintilla negli occhi che li rende diversi dagli altri . Si siede una ragazza, finalmente! Ha un bel caratterino, è molto solare e chiacchiera sempre, infatti la prof la rimprovera una volta si e l’altra pure. Come gli altri anche lei è stata sottoposta alle solite domande, si chiama Anastasia, è vestita con un jeans chiaro a sigaretta strappato sul ginocchio destro, aveva dei capelli corti neri, bassina con un naso all’insù, devo dire che mi piaceva molto. Era una di quelle classiche ragazze romanticone lo so perché sentivo e vedevo le citazioni di libri o le frasi di canzoni che scriveva su di me e per questo posso dire con certezza che adorava Nek. Anastasia aveva scelto il turistico perché il suo sogno era lavorare come mediatrice linguistica o come assistente di volo, ma il fato, sempre in continuo mutamento le fece prender coscienza di dover scegliere una facoltà umanistica, molto vicina al suo modo di essere e alle sue passioni, accompagnai questa ragazza uragano fino alla terza superiore. Di colpo buio.

 

30 anni dopo… e una pandemia

2022
Dopo la tempesta esce sempre il sole, dopo essere stato 2 anni chiuso in un’aula senza vedere nessuno oggi si ricomincia, chissà se proverò la stessa emozione della prima volta, chissà quale classe sarà. Neanche il tempo di pensarlo che subito noto i primi ragazzi entrare in aula 37, sono collocato proprio al centro della classe davanti la cattedra della prof, penso al povero mal capitato/a che si siederà qui. Quest’anno è una quinta e questo un po’ mi dispiace. Nel corso del tempo ho notato un forte cambio generazionale nel modo di parlare, nei generi musicali ascoltati o anche solo nel modo di comportarsi. Mi è capitata una ragazza molto particolare, si chiama Francesca ma tutti in confidenza, compresi alcuni prof la chiamano Francy, è vestita con un pantalone di pelle nero, Dottor Martens del medesimo colore, una maglietta nera che le lasciava scoperto un filo di pancia e un camicione bianco, preso in prestito da un armadio maschile, a coprire il tutto. Aveva un modo tutto suo di fare: all’apparenza calma ma quando ci voleva aveva una lingua molto biforcuta, ascoltava “trap” questo nuovo genere di tendenza nei giovani e il rap, nonostante ciò era una persona dall’animo buono. Da quello che lei dice non ha alcuna passione in particolare e per questo finita la quinta inizierà a lavorare, ma quello che vedo io è tutt’altro: non si direbbe ma potrebbe diventare una psicologa se solo volesse, perché ha una predisposizione naturale nell’aiutare le persone con una semplice parola o con un semplice gesto.

40 anni dopo…un cambiamento radicale

 

2032
Quarant’anni dopo dal primo racconto sono sempre io, ma sono cambiato, le aule non sono come prima: sono state ampliate, sono collocato nell’ex aula professori. Il mondo si è evoluto così velocemente che neanche me ne sono accorto, la scuola ora sono io: i libri sono stati debellati , mi è stato istallato un monitor dove all’interno ci sono tutte le informazioni necessarie. Mi è capitata una prima e i ragazzi, rispetto a prima, neanche li riconosco più, vi ricordate della scintilla di cui vi parlavo? Ecco non ce n’è neanche l’ombra, sono tutti presi dalla tecnologia e dal progresso, neanche i prof ci sono più.. Anche lo stile e la musica sono cambiati. La ragazza seduta su di me si chiama Alexa, ha un paio di scarpe marchiate nike con i lacci automatici, una semplice maglietta con dei robot sopra e un pantalone con taglie differenti regolabile; sapete perché questo nome particolare? A detta sua i genitori si sono ispirati all’ echo-dot messo anni fa sul commercio da Amazon.

Alla fine però, osservando tutti questi ragazzi una cosa è rimasta uguale: la voglia di stare bene con gli altri in qualsiasi ambito.


Penso che dovremmo esercitarci di più a raccontare i luoghi che viviamo tutti i giorni, in retrospettiva e in prospettiva. Questo vale per gli studenti, per i lavoratori, per gli imprenditori, per gli amministratori e per tutti coloro che non subiscono i luoghi ma li interpretano. Il racconto non è il fine, il racconto è il mezzo, il fine è la possibilità di ricreare prospettive, possibilità e consapevolezze.

Grazie per aver letto il racconto di Althea, anche a suo nome e di tutto il gruppo di ragazze e ragazzi che fanno parte del percorso di formazione all’interno del quale è nata questa idea. Aprire le Storie di Bottega a contributi come questo può essere solo bello, credo che lo rifarò.