Un secolo in più

Teresa ha 7 anni, Rosa ne ha 107, metterle una di fronte all’altra non è stato semplicissimo.

Caro Mastru,

Un secolo in mezzo a due vite sembra un macigno, ma se ci pensi, le nostre esistenze custodiscono secoli e secoli di memoria, eppure, ogni volta che nasce un bambino sembra che tutto ricominci da zero.

L’imbarazzo della piccola Teresa e le difficoltà di udito della signora Rosa (ad arrivarci alla sua età!) hanno fatto si che molte delle registrazioni che abbiamo fatto siano state compromesse.

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Il tempo scorre assai rapidamente oggi. Siamo indaffarati e ci fermiamo sempre con meno frequenza ad ascoltare le persone anziane. Credo che questo sia un problema. Sia per chi, avendo superato una certa età si sente sempre meno nel mondo, sia per chi, giovane, con una vita davanti, non si arricchisce di racconti vivi, fatti di mani che si stringono e occhi che si inumidiscono di emozioni.

Hai sentito bene, innovazione.

Per quanto ne so io:

Innovativo è mettere i nostri ragazzi a contatto con chi li ha preceduti.

Innovativo è farlo attraverso racconti, conversazioni, aneddoti e linguaggi non convenzionali e mediati.

Innovativo è sapere che la guerra è stupida e che non ha senso oggi e mai.

Innovativo ed anche (fortunato) è salire su una “macchina del tempo” con un’empatia ed un’emotività (umana) che forse nessuna riproduzione della realtà può darti.

I racconti ispirano le persone e ne determinano le scelte.

Ci sono storie che ci fanno cambiare idea sul nostro futuro. Ci sono storie che ci fanno prendere delle decisioni. Ci sono storie che ci fanno capire che tipo di persona siamo e che tipo di persona vorremmo diventare.

Giuseppe, il nipote della signora Rosa, un giorno venne in bottega e mi disse “mia zia ha 107 anni, è un poco sorda, ma secondo me potrebbe raccontarti un sacco di cose”

Ok, gli risposi, vengo volentieri ad intervistarla e siccome mi piace creare sempre un contesto, potrei farla conversare con Teresa, una bambina di 7 anni.

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Ascoltare e fare, ascoltare per fare. Come si fa il pane, come si fanno i dolci, come veniva fatta una certa attività il sabato santo, cosa è successo durante la prima e la seconda guerra mondiale, non è un racconto fine a se stesso, non è il rimpianto nostalgico (o euforico) di un mondo che fu.

Quando la piccola Teresa, le ha chiesto della scuola, la signora Rosa le ha detto che sapeva fare la sua firma, e che quello le bastava, anzi le era bastato per tutta la vita. La sua scuola era stata la campagna. Il lavoro manuale, pratico, l’esercizio.

La firma però, la firma la sapeva fare perché quella è necessaria, quella serve per dire che sei tu, che non devi mai perdere di vista il tuo nome e il tuo cognome, che la tua identità ti precede e ti serve per dare un senso a tutto quello che fai.

Ecco cosa ho imparato da questa Storia di Bottega. Dare un senso alla vita attraverso la conversazione tra persone, che appartengono a mondi apparentemente diversi, per comprendere il presente e anticipare il futuro.

Teresa è una piccola allieva di una maestra veramente speciale.

Ecco qui la versione integrale della conversazione, tra la piccola Teresa e la signora Rosa

Sto imparando che curando le relazioni tra generazioni lontane il futuro ci sembrerà meno oscuro

 

Se hai letto questa storia ed hai voglia di darmi un tuo feedback oppure hai qualche bella storia da suggerirmi scrivimi a giuseppe@jepis.it