Mastru, qualche giorno fa ho ricevuto questa lettera da Giusi Giovinazzo. Ho deciso di fartela leggere tutta. Non me la sono sentita di prenderne solo un pezzo. La sua è la storia di una ragazza che ha deciso di mettersi in gioco nel suo angolo di mondo, Castelsaraceno. Lo ha fatto con lo sguardo fiero, un sorriso che riempie il cuore di chi ha la fortuna di incrociarlo e la testa piena di sogni da realizzare, per lei e per la sua gente.
Caro Jepis
Ho appena sistemato sull’albero di Natale una decorazione rifinita di perline e merletti. E’ bianca e le luci intorno ne rifletteranno l’interno. L’abbiamo comprata con Antonella, mia sorella, due anni fa. Ci aveva da poco detto che l’estate successiva avremmo conosciuto Irene. Il cuore della nostra casa ha ripreso a splendere l’emozione essenziale di quella gioia leggera e trasparente che pare non aver bisogno di nient’altro per rinnovare la sua intensità. Ho fatto un paio di giravolte intorno alle luci, cercando di sfilare inutilmente i nodi e la fretta dell’anno scorso e poi mi sono detta che era il momento giusto per provare a scriverti.
Per ripensarmi tra i punti sfrangiati dei ricordi e delle scintille di amore che vorrei continuare ad avere accanto come ispirazioni e che distribuiscono la mia vita negli orizzonti, nelle poetiche delle piccole comunità. Provo a raccontarti quello che amo fare, poi se ci riesco quello di cui mi occupo. Mi piace trasformare i punti in direzioni, coordinate e proiezioni; approfondire le percezioni col tempo della memoria e filtrare gli spazi con l’anima dei vissuti. Mi piace guardare con sguardo complice e curioso il sapere ruvido dei luoghi e svelarne le regole implicite che tengono insieme le persone.
Nessuna vita desiderata potrebbe sussistere senza quel sentimento di stupore che continua a commuovermi quando gli elementi una volta individuati si ricongiungono in figure, forme e proprietà inaspettate, restituendomi in quella meraviglia collettiva il mio senso. Mi piacciono le mani degli artigiani che lavorano il legno come accarezzando pezzi di paesaggio. In questa condivisione di istanti in cui l’arte si incarna nelle rughe del paese e delle sue vedute, mi piace cercare le parole giuste come se fosse una questione di vita o di morte; un’imprecisione mi pare un torto imperdonabile a quel gesto di cura e futuro in cui si cullano frammenti di infanzie accompagnando la fede laica e la sacra conferma che le cose belle possono esistere.
Giusi mi ha raccontato di questo bel progetto che il Comune di Castelsaraceno ha realizzato con Fondazione Matera Basilicata 2019. Qui puoi leggere tutte le informazioni sul progetto.
Mi piace pensare gli estremi come raccordi di possibilità, più che come divergenze inconciliabili. Confrontarmi con la complessità senza ridurla in categorie, ma continuando a interrogare le sfumature degli argomenti e raccontando della distanza, della diversità come opportunità di osservare le cose da più punti di vista. Mi piace accorgermi che se lascio scivolare le dita sui paragrafi attraversati dalla lettura, dopo aver sottolineato con un filo di matita le righe di un libro, la pagina sembra acquistare una nuova dimensione, il bacino piatto sembra ondeggiare un nuovo spessore.
Mi piace raccontare di come le montagne una volta rovesciate diventano frecce, direzioni comuni che confutano il peso gerarchico della realtà. Per pensarci tutti, anziché sulla base di un ineluttabile destino da sopportare, parti ineliminabili di un campo di energia distribuito tra potenzialità infinite. Il mio lavoro consiste in questo esercizio concreto, in questo invito a inclinare lo sguardo e il piano, per cogliere il caleidoscopio di immaginazione e sintesi che restituisce a tutti – oltre il vertice e passando per gli spigoli – la libertà e la responsabilità di scegliere le indicazioni del proprio proseguire. Le storie che racconto fioriscono da questi germogli di auto-riflessione, dalla traduzione di presunti vincoli in legami sinceri. Io ne ascolto solo la melodia diffusa che brulica tra i boschi dei terreni di questo manto stra-ordinario. Grazie al dono di affinità che ho potuto incrociare nel mio riabitare la Basilicata con compagni preziosi, posso provare a progettare mappe di comunità che tengano insieme l’elemento concavo e quello convesso, le persone e la natura, la filosofia e la comunicazione digitale, lo sviluppo turistico con la felicità delle comunità, il design collaborativo e la fisica sociale col benessere dei quartieri.
Le sculture, le assemblee pubbliche, i diagrammi relazionali, gli schemi di storytelling e i parametri di monitoraggio sarebbero tutti scenografia di un teatro vuoto in platea senza i rami che ho provato a percorrere con le parole. Senza il come e il perché, qualsiasi dato sarebbe inciampo di inutile imbarazzo. Le comunità e i paesi possono insegnare a scrivere e vivere di paesaggi e universi più giusti. In questa misura e in questa ambizione, voglio provare a capire come far funzionare le cose, sul limbo che trattiene e diluisce le appartenenze, accorgendosi del valore in cui siamo immersi e sfilando nuovi abiti.
Proprio come intorno all’albero di Natale e alle luci, ho fatto un sacco di giravolte prima di arrivare al punto, perché come sempre mi sembra di perdermi nel nucleo del pentagono centrale le altre figure del dodecaedro, se non le percorro tutte con calma. Sono un’imbranata e faccio fatica a intuire l’ovvio. Irene però era l’unico inizio possibile, per raccontarti ora chi sono e la coincidenza fortunata – e dolorosa – con quello che faccio.
Irene è la ferita del sud che vive lontano dalla sua terra emigrante sepolta nei congedi familiari ma anche rinascita che sussurra la sua forza nell’urgenza, nella promessa di chi resta di custodire la bellezza di questa storia. E le mappe di comunità, il racconto autentico dei territori attraverso il vettore della fiducia, mi sembrano un moltiplicatore esponenziale di premesse, resilienza e bellezza. Vorrei che Irene fosse orgogliosa e consapevole delle sue radici, un giorno, e sappia conservare la capacità del Sud di ribellarsi con umiltà risoluta alle avversità. Con creativa generosità, senza invidie e rancori. Come i suoi occhi cristallini alla fantasia della vita.
Fino a quando mi sentirò inadeguata rispetto a tutto questo, sarà ora e qui la mia vocazione. In questo chiasmo di differenze e realtà, qui e altrove, il mio posto.
Spero che lasciando sedimentare i vuoti voluti tra le parole nella tua bottega, potranno apparirti in combinazioni meno disordinate. Spero potrai vedere nel diruto in cui mi sono incamminata, il profumo fresco del prato e i fili d’erba che ho provato a indicare senza strappare. A presto, a Cip!
Con eterno incespicare ma fermo passo,
Giusi
(o Giusneyland, come dice Antonella)
Mastru, inutile dirti che è un contributo straordinario alle nostre Storie di Bottega. Quando abbiamo attivato questo canale non avrei mai immaginato di attivare queste conversazioni. Grazie, andiamo avanti!