Caro Mastru, oggi passando su una vecchia scala tra gli orti del mio paese ho scattato questa foto. Il simbolo della nostra mobilità, in versione rifiuto speciale. Rifiutato dal suo mondo, implora aiuto al vecchio mondo. L’ho sentita la sua vocina, rotta dalla vergogna, mentre implorava a queste pietre un consiglio per andare avanti, un suggerimento, un indizio per tornare a vivere con dignità, per diventare di nuovo utile. Utile, proprio come queste pietre, oltre il consumo del suo tempo, ma dentro la vita che ciclicamente si consuma.
Troppo giovane questo smartphone, troppo inesperto. Così l’ho preso, togliendolo dall’imbarazzo di starsene lì tra queste pietre, troppo più vecchie di lui, troppo sagge. Allora ho pensato alle botteghe immaginate, a quelle pietre, alla mobilità, agli smartphone e tutto questo nostro mondo che da un lato cade a pezzi e dell’altro sogna di essere sempre più mobile, veloce, dinamico.
E c’è una bottega immaginata dove mi piacerebbe portarti. Si l’ho immaginata proprio grazie a questo muro fatto di pietre vecchie e di rifiutata mobilità. É una bottega dove si costruiscono pezzi di muri che parlano tra loro. Muri che comunicano con altri muri, che raccolgono informazioni sullo stato delle radici delle piante, delle persone che hanno bisogno di aiuto, di muri che fanno pure compagnia alle persone quando è necessario.
Di muri che vedono, sentono e parlano, togliendo spazio al silenzio ed alla solitudine. Muri che contengono storie incastonate tra i propri sassi, storie pronte ad essere riprodotte, e pronte a suggerire le cose giuste nella stagione giusta. Non so se esisteranno mai dei muri così, ma so che forse io una storia ce la scriverei, non sopra, ma dentro, quasi come fosse una pietra, immobile, ma in viaggio nel tempo, con le donne e gli uomini che verranno.