La storia di bottega di Marius Mele, artigiano del fotogramma!
Oggi ti voglio presentare un artigiano molto particolare. Un artigiano del fotogramma.
Mastru,
Ho invitato in Bottega Mario Mele, in arte Marius per parlare un po’ con lui. Seguici.
J: Benvenuto in Bottega Mario.
Quanto è difficile oggi definire i lavori che facciamo. Lavori in continua mutazione, ed in continua via di definizione. Una bella cosa certo ma che deve poggiare i piedi su basi valoriali solide. Tu per esempio fai il filmmaker da diversi anni ma se dovessi definirti in maniera più profonda, come lo faresti?
M: Sono un artigiano, lavoro prevalentemente da solo e senza lavorazioni in serie. Penso che questa definizione sia ancora valida per tutti gli artigiani digitali. Al contrario penso che la legislazione in merito non sia altrettanto adeguata. Se poi l’artigiano oltre a fare cose con le proprie mani vi aggiunge il significato, diventa artista.
J: Ho sempre avuto un debole per gli artigiani. Adoro coloro che realizzano oggetti unici, oggetti che difficilmente possono essere riprodotti. Una delle cose che più mi affascina degli artigiani è il rapporto con “i ferri del mestiere”. Il rapporto tra la propria preparazione, la propria consapevolezza e gli strumenti che utilizza. Il modo in cui cura e sceglie i suoi attrezzi. Lo sai come diceva sempre mio nonno? “Giusè so i fierri ca fann u mastr” (Giuseppe, sono i ferri che fanno il mastro)
M: Quando ho iniziato facevo spesso il paragone con la Formula 1. Anche il pilota migliore, senza la macchina, le gomme ed il team giusto non può vincere.
Credo che il rapporto con gli strumenti sia ancor più fondamentale per chi lavora confrontandosi con il reale, e in questa categoria ricadono fotografi e cineasti.
Oltre a confrontarci con la realtà delle cose dobbiamo altresì confrontarci con le leggi della fisica e con la tecnologia in nostro possesso. Passo molto tempo a scegliere i miei strumenti, provarli e usarli sul campo fino ad esaurire la mia ignoranza e la mia curiosità; In fondo gli strumenti non sono altro che strumenti, qualcosa che mi serve per ottenere quello che ho in mente.
J: Una delle cose che amo del mio lavoro è il privilegio di cliccare “play” alla fine di una sequenza che ho appena montato. Da autodidatta, nella mia crescita, molte delle scelte fatte sono state orientate dalle esperienze creative che crescendo mi capitavano. Bene, per me fare questo mestiere è un po’ come sognare ad occhi aperti. Far scorrere sulla timeline quello che scegli tu, l’ordine che decidi tu, un grande privilegio insomma. Pensi che oggi sia facile imparare questo mestiere?
M: Fare il filmmaker non è mai stato così facile, in questo momento ci sono miliardi di filmmaker nel mondo. Fare il filmmaker come professione al contrario è molto difficile, situazione comune a tutti gli artigiani digitali. Fare un prodotto artigianale significa dividere il tempo e le risorse per un numero limitato di lavori, non ci sono economie di scala. Il problema principale è proprio questo e poiché la qualità è inversamente proporzionale alla quantità, si deve limitare la produzione. La diffusione del mezzo ha portato ad una diluizione omeopatica delle competenze sia dal lato dell’offerta che della domanda, i clienti non sono capaci di distinguere la qualità dei prodotti e molti filmmaker sono affetti dalla “sindrome” di Dunning-Kruger. Il problema di fondo è che ci stiamo avvicinando ai limiti umani della nostra capacità cognitiva di acquisire informazioni, capacità che è infinitamente inferiore al ritmo a cui questa informazione viene prodotta. siamo sull’orizzonte degli eventi.
J: Se avessi saputo scrivere bene, se avessi saputo descrivere i mondi che creo con il video con le parole molto probabilmente non avrei fatto questo mestiere. Lo penso spesso. Poi però penso di essere stato fortunato. Forgiare le immagini è stato un bel modo per imparare anche a usare le parole. Almeno nel mio caso.
M: Ogni umano dovrebbe sperimentare la comunicazione video nella propria vita, è come il sesso, l’uno sta alla comunicazione come l’altro sta alla riproduzione. Chi meglio dei giovani per provare queste gioie della vita, l’importante è usare le dovute precauzioni: munirsi di una buona protezione culturale, umanistica e scientifica, ricordandosi che l’educazione non è qualcosa che può finire. Il video è l’unica forma naturale di comunicazione umana, non lo è né la fotografia né la scrittura. Il video è un messaggio universale, ci ricorda che siamo tutti esseri umani, è la comunione dell’uomo, perché prima che la carne si fece verbo, fu video. quindi dico ai giovani amate e riproducete. PLAY
J: “Never stop learning” credo che sia un altro degli aspetti fondamentali per fare questo mestiere. Forse per fare tutti i mestieri. Fare l’artigiano ha sempre comportato un grande sforzo di esercizio combinato con la ricerca. Lo scambio di informazioni, l’arricchimento costante e la costante consapevolezza che per realizzare il prossimo pezzo, il prossimo oggetto non basti quello che sapevi fino a ieri, hai bisogno di sapere di più.
M: L’educazione non è qualcosa che puoi finire, diceva Asimov, è come pensare di essere arrivato ad una gara dove non c’è traguardo.
All’inizio della mia carriera pensavo che avrei passato tutto il tempo a fotografare, poi giunto ai limiti della mia ignoranza ho inizio a cercare, e più trovavo e più questo confine si allargava, così ho commiato col cercare la parola “Photography” in inglese, ho iniziato traducendo poche parole fino a leggere decine di articoli al giorno. E non leggevo solo di fotografia ma anche articoli di economia, scienza e politica, ho iniziato a leggere i giornali americani, ammiro il loro rapporto con l’immagine fotografica, e in questo modo, lentamente, la mia percezione del mondo cambiava. Nella mia mente riecheggia Das Musikalisches Opfer di J.S. Bach: “Quaerendo invenietis”, cercando troverete.
J: Mario, amo pensare che nella crescita di ognuno di noi siano stati determinanti i maestri che abbiamo trovato lungo la strada. Non sempre i maestri hanno un nome ed un cognome ben definito.
Credo che però ci siano sempre.
M: Sono auto-didatta, questo non vuol dire che ho ricevuto qualche illuminazione particolare, solo che nessuno mi ha obbligato. Inoltre non ho compiuto un percorso di studi standardizzato, praticamente come tutti gli umani, esclusi quelli delle ultime 10 generazioni.
I miei maestri sono moltissimi, sono le persone che ho incontrato, i libri che ho letto, i video che ho visto e la musica che ho ascoltato, sono le terre che ho esplorato, il cibo che ho mangiato, sono le mie emozioni, il dolore e il silenzio dentro di me.
J: Come si evolverà il tuo mestiere?
M: Il mestiere si evolverà anche senza di te. Il mestiere scomparirà, rimarranno i video. A guardarci, loro a noi.
J: Se dovessi presentare una playlist dei tuoi video più belli, quale metteresti al primo posto oggi?
M: Il mio miglior video lo devo ancora fare, spero. il più popolare è sicuramente quello sulla Sicilia
A proposito di Sicilia, vorrei fare un lungometraggio documentaristico, un film da portare in giro per il mondo che celebri questa terra e che resti nel tempo, per avere un’idea di cosa ho in mente guardate la trilogia Qatsi o il più recente Awaken
J: Raccontare le persone, le loro storie è una delle cose che più mi tiene legato a questo mestiere. Credo che nei racconti delle persone ci sia incastrato un pezzettino di mondo. Le storie ci guidano, ci suggeriscono delle scelte emozionandoci. Ricordo che intervistando la mia maestra delle elementari, un giorno, lei mi disse: “dobbiamo insegnare ai nostri ragazzi a ragionare raccontando storie, li guideranno e li renderemo degli uomini e delle donne più forti”
M: l’anno scorso mi contattò un professore che non ho mai conosciuto prima, Vittorio Morrone. Mi chiese di fare l’alternanza scuola-lavoro con i suoi allievi del Liceo Artistico Sabatini-Menna di Salerno. Come prima cosa ho detto ai ragazzi che potevano copiare perché senza copia non c’è vita, siamo tutti figli di L.U.C.A. il primo essere copiante. Nella prima lezione ho dato cinque semplici istruzioni: impara, copia, remixa, fallisci, ripeti; riassumibili nel motto “Do What You Can’t”. Ho messo a loro disposizione la mia conoscenza e i miei strumenti, ricordo ancora le loro facce quando hanno visto la RED per la prima volta. Quando il prof. Morrone ci ha proposto di partecipare ad un concorso sul tema del “viaggio” abbiamo fatto brainstorming e alla fine abbiamo deciso di parlare del viaggio di un ragazzo che avesse attraversato il Mediterraneo, con la collaborazione dell’ufficio Migrantes siamo riusciti ad avere a scuola Oumar, una ragazzo di 18 anni la stessa età degli studenti. Ricordo il silenzio con cui abbiamo ascoltato le sue parole, ed il risultato di quella intervista è questo video. Alla Biennale dei Licei Artistici abbiamo vinto una menzione speciale della giuria, e di recente a Venezia ci è stato assegnato un altro premio “per la ricerca sulla tecnica di ripresa” dalla fondazione svizzera Filmagogia.
Il mio sogno è di fondare una scuola, nel senso antico di luogo dove passare il tempo libero a discutere di scienza e filosofia, la chiamerò Noscuola.
J: Mario, ti ringrazio tanto. Ancora un’ultima cosa però. Quale brano scegli come sottofondo di questo post?
M: la musica per questo post potrebbe essere:
Concerto in A minor Op.16-3 di Edvard Grieg
*la foto in copertina è stata scattata da Bernardino Caruso